F1: Button è Campione del Mondo 2009

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  1. *Bluebell*
     
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    Button, festa di laurea in Brasile

    All'inglese basta il quinto posto a Interlagos per conquistare il titolo

    STEFANO MANCINI, INVIATO A SAN PAOLO

    «Ragazzi, sono campione del mondo». Lo ripete, lo urla, lo bisbiglia perché è lui il primo a non rendersene ancora conto. Jenson Button è campione del mondo. Ci ha messo le prime sette gare a costruirsi un vantaggio enorme e le successive otto a dilapidarlo, divorato dalla paura di vincere. Sabato pomeriggio il mondo gli è franato addosso dopo una qualifica penosa, l’ennesima. Ieri si è scrollato le macerie di dosso. Ha sorpassato. Ha preso i suoi bei rischi. Ha gestito con intelligenza il finale di gara. E alla fine ha tagliato il traguardo urlando e gesticolando come un tarantolato, mentre Felipe Massa sventolava la bandiera a scacchi.

    E’ finita con una gara di anticipo. Peccato per Abu Dhabi, la prossima tappa, il Gran premio nel deserto con il via al tramonto e l’arrivo nella notte: il risultato non interesserà a nessuno. Onore al campione più criticato degli ultimi quindici anni. «E’ vero, a inizio campionato andavo più forte - si racconta -. Ma è colpa della macchina, non mia. Ho letto le critiche: non è vero che ho paura. Ho commesso errori in qualifica, ma in gara ho sempre tenuto un ritmo altissimo. Ho dato il massimo». Nel cuore degli inglesi Button non vale Hamilton, d’accordo, ma guidare a 300 chilometri l’ora è sempre un’impresa. «Mi rinfacciate le ultime gare, quelle difficili. Perché non mi chiedete come ho fatto a vincere sei delle prime sette?». Lo dice sorridendo, senza spirito polemico.

    Dopo il traguardo lo aspettano l’abbraccio commosso del padre e quello, sportivo e amareggiato, di Rubens Barrichello, suo compagno di squadra. Poi la festa con i meccanici e fiumi di champagne. Manca soltanto Jessica, la fidanzata, rimasta a casa per non distrarre il consorte. «Arrivo tardi al successo perché solo quest’anno ho avuto una monoposto competitiva». Ventinove anni sono parecchi in questa F1 che sforna baby fenomeni ancora con i brufoli. Lo era stato anche lui, almeno al debutto. Era il 2000, aveva vent’anni, guidava la mitica Williams a Melbourne: sesto posto e complimenti unanimi al più giovane pilota britannico della storia. Jenson pensò di premiarsi comprandosi uno yacht, come fanno i grandi. Anni dopo, scosso dalla lettura dell’autobiografia di Lance Armstrong, reciterà il mea culpa, ma intanto al suo posto nel 2001 arriva Juan Pablo Montoya e a lui tocca trasferirsi alla Benetton/Renault, quindi alla Bar (per lasciare il posto a Fernando Alonso), che nel tempo diventerà Honda e, da quest’anno, Brawn. Anni grigi.

    Nel 2004 qualche buon risultato, ma la Bar viene squalificata per tre gare a causa di un serbatoio truffaldino. Nel 2006 il primo successo (Ungheria), poi ancora anonimato. «L’esperienza mi ha insegnato che non basta essere veloci: ti serve una grande squadra». Nel suo curriculum c’è anche una grana contrattuale: firma di nuovo per la Williams, poi si pente e paga di tasca propria la penale per restare alla Honda: 15 milioni suddivise in comode rate da cinque milioni l’anno. Sarà la sua fortuna. La Brawn cresce in silenzio durante l’inverno, sulle ceneri della Honda che dalla sera alla mattina decide di abbandonare il Circus per tagliare i costi. Jenson ripercorre quei momenti: «Se ci penso è incredibile. Ho rischiato di essere disoccupato». Per sposare il progetto di Ross Brawn ha rinunciato al sontuoso contratto della casa giapponese: da 20 a 10 milioni di euro, 50 per cento di sconto. Oggi ha ragione di sostenere che certe soddisfazioni non hanno prezzo.

    La gara: «La prima curva ho cercato di tenermi lontano dai guai. Poi ho dovuto lasciar perdere la prudenza e attaccare. Il mio punto di riferimento era Barrichello. Dovevo stargli vicino». I momenti più difficili: «Il sorpasso su Kobayashi. E’ uno che cambia traiettoria all’improvviso. Ho frenato all’ultimo poi l’ho passato. Non avevo scelta: Rubens era secondo, a me serviva il quinto posto». Alla fine Jenson quasi si scusa: «Quando diventi l’eterno piazzato rischi di essere noioso. Però io sono il campione del mondo. Wow».

    fonte:La Stampa
     
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  2. AlexDelPiero6unico
     
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    Complimenti a Button! :)
     
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1 replies since 20/10/2009, 17:55   42 views
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